Pur di tornare a scherzare in quell’acqua, Arturo Gerace si sarebbe accontentato di essere uno scorfano “che è il pesce più brutto del mare”.
Giovenale la preferiva alla Suburra (come dargli torto!), Alphonse de Lamartine aveva trovato in Graziella, immagine della donna procidana bella e solare, lo spunto per il suo romanzo giovanile.
Eppure Procida, una pennellata garbata di case color pastello a cavalcioni sul mare, è stata per molto tempo l’isola “prossima a…”, famosa più per la sua vicinanza alla verde Ischia e alla snob movida caprese che per la sua bellezza genuina e per quella storia fatta di pesca e di “misteri”, di vento e di limoni.
Un ruolo di prossimità, insomma, insito anche nella probabile origine del nome “Prima Cyme”, ‘prossima a Cuma’. Così doveva apparire ai coloni greci nella migrazione da Ischia verso la prima città greca sulla terraferma.
“Vicina a Ischia” la identifica Boccaccio, parlando di un certo Gian di Procida, protagonista della sesta Novella.
Eppure questa perla a colori ha saputo inserire nella bottiglia dei nostri tempi bui il suo poetico messaggio, farcito con l’ottimismo dei suoi pastelli, con la sua visione culturale che, dalla piccola realtà isolana, si appresta a raggiungere l’Italia intera. E così Procida ha scalzato Ancona, Bari, Cerveteri, L’ Aquila, Pieve di Soligo, Taranto, Trapani, Verbania, Volterra, con la sua identità di “isola che non isola”, una bellezza che sa di mare e che promette di essere un laboratorio di felicità sociale.
Il più piccolo dei comuni in gara, la più piccola delle tre isole del Golfo di Napoli, una manciata di case, uno sbuffo di tufo grigio e giallo che ammicca a Vivara (con i suoi resti di un villaggio miceneo del XV secolo a.C.) ha dato fiducia alla commissione di esperti del Mibact con un programma giudicato “innovativo” e quel progetto che coniuga slancio ideale, concretezza, capacità di trasformare la città in un laboratorio idee, dando impulso al cambiamento. Ecco perché Procida sarà la Capitale italiana della Cultura per il 2022.
Non isola Procida la tonda – tutta archi, scale a dorso d’asino, vefi e Casali – quando accoglie i Calcidesi dell’isola di Eubea e poi i Greci di Cuma, e ancora le ville dei patrizi romani, e i poeti come Giovenale che ne parlano come di un luogo adatto ad un soggiorno solitario e tranquillo.
Orde di Vandali e Goti la ebbero in pugno, ma “l’isola che non isola” non crolla e piuttosto vuole essere luogo di rifugio per le popolazioni in fuga dalle devastazioni longobarde e dalle scorrerie dei pirati saraceni.
Il borgo di Terra Murata, antico acroterio dell’isola, con il cinquecentesco Palazzo d’Avalos – residenza reale e casino di caccia di Carlo III di Borbone ed ex carcere – e con l’abbazia benedettina di San Michele sembra fare da vedetta.
Marina Corricella, l’antico borgo marinaro, è un anfiteatro adagiato sull’acqua, fuori dal tempo.
Chissà quante barche passarono da qui. Che profumi, che voci saluteranno i forestieri.
È bella dal mare Procida la devota, che ritrova nella processione dei “misteri” del Venerdì Santo, la fede vibrante e l’antico folklore.
Dal 1627 i carri che riproducono scene della bibbia sono costruiti e portati a mano dai giovani procidani in un lungo corteo, da secoli sempre lo stesso, che da Terra Murata arriva a Marina Grande.
Il prossimo viaggio, ne sono certa, partirà da qui.
Buona fortuna, piccola isola.
Per informazioni su Procida visita il sito ufficiale.